A chi appartengono i giorni che abbiamo rubato a noi stessi?

 

(J. Roth, Le città bianche)

 

 

 

            Piastrelle bianche 20x20, cod.3450|: la parete della cucina in uno studio d’artista.

  

           La quadrettatura non lascia spazio al bel caro e candido muro bianco che spesso fa mettere in dubbio se l’arte sia lui o ciò che incornicia. La griglia non concede allo sguardo di scivolare spensierato, ma lo obbliga, lo stringe, lo taglia, spezzando qualsiasi speranza di allungare le gambe in un viaggio troppo lungo. Viviamo tutta la vita immersi in vincoli, in campi e sistemi; in poche parole, in vecchie pareti a piastrelle. Pensiamo che la libertà sia non avere limiti, eppure come respirerebbero i polmoni se non ci fosse la gabbia toracica? E come desidereremmo il cielo se non ci fosse la gravità a radicarci a terra?

 

       Circondata da ampi e luminosi spazi espositivi, ne è invidiosa. E nonostante faccia di tutto per sembrare luccicante e bella come loro, non può nascondere il fatto di essere nata diversa, inconsapevolmente speciale. Non è un luogo ma è essa stessa già immagine, voce. In un convenzionale spazio sono le cose a disegnare il senso della parete, mentre in lei tutto è rimodellato dalla sua presenza discreta e allo stesso tempo imperante. È proprio la traccia di ciò che era, l’occasione per considerare tale spazio come un contenitore di tempo. Penso al tempo dell’attesa, della pausa, di tutto ciò che ci si regala senza averlo guadagnato. Penso all’imprevisto, al caso, alla prospettiva, alla probabilità. Penso al dubbio e all’illuminazione. Penso a tutto ciò che può accadere nella cucina di un’artista quando solo il tempo fa sì che una semplice cosa diventi opera d’arte.

 

Luisa Turuani